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Il processo penale

Il procedimento penale nasce in seguito all’arrivo, presso gli uffici della Procura della Repubblica, della “notizia di reato”: si chiama così qualunque atto (di privati, di pubblici ufficiali, delle forze di polizia) che segnala la commissione di un fatto che potrebbe costituire reato.

La Procura (ove operano i magistrati inquirenti, ossia i pubblici ministeri) attiva le cosiddette “indagini preliminari” con l’ausilio della Polizia Giudiziaria, i cui ufficiali e agenti possono anche compiere alcune attività investigative di loro iniziativa, riferendone poi al pubblico ministero. Le indagini, a seconda dei casi, possono consistere in perquisizioni, ispezioni, sequestri, assunzione di sommarie informazioni da persone informate sui fatti, ecc..

Per il compimento di alcuni attività nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero deve avanzare richiesta al giudice per le indagini preliminari, il quale adotta i conseguenti provvedimenti: è il caso delle misure cautelari personali (es. custodia in carcere, arresti domiciliari) o di alcune attività di ricerca della prova (es. intercettazioni di conversazioni).

Se le prove raccolte non sono sufficienti, il pubblico ministero chiede l’archiviazione, che viene disposta dal giudice per le indagini preliminari; se invece sono sufficienti, il pubblico ministero esercita l’azione penale chiedendo il rinvio a giudizio, che viene disposto dal giudice dell’udienza preliminare, oppure procedendo a citazione diretta a giudizio. A questo punto, la persona sottoposta ad indagini assume la qualità di imputato.

In alcuni casi, su richiesta del pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari, se può essere applicata una pena esclusivamente pecuniaria, emette decreto penale di condanna (cui però l’imputato può opporsi, e in tal caso si procede nelle forme del giudizio immediato).

Se l’imputato, entro i termini previsti dalla legge, non chiede che si proceda con rito speciale (patteggiamento, giudizio abbreviato), si procede con il dibattimento.

Nel dibattimento, le parti principali sono il pubblico ministero, l’imputato ed eventualmente la parte civile: quest’ultima è la persona offesa che chiede nel procedimento penale il risarcimento del danno derivante da reato. Le parti private sono sempre assistite dai propri difensori, d’ufficio o di fiducia.

In dibattimento, le parti indicano al giudice (monocratico o collegiale) le prove che intendono proporre per dimostrare la rispettiva tesi: può trattarsi di prove documentali, oppure di testimonianze, o di consulenze tecniche. Il giudice ammette le prove che non siano manifestamente irrilevanti, e a questo punto inizia l’istruttoria dibattimentale. In questa fase, i testimoni vengono sentiti e interrogati sia dalle parti che dal giudice, vengono acquisiti i documenti e le altre prove; infine il giudice, se lo ritiene necessario, dispone che vengano acquisite ulteriori prove.

Al termine, il giudice dichiara chiusa l’istruttoria dibattimentale, e si apre la discussione, che comincia con la requisitoria del pubblico ministero e prosegue con le conclusioni delle altre parti private (parte civile, imputati ecc.); ciascuna delle parti avanza le proprie richieste, che non sono vincolanti per il giudice.

Terminata la discussione, il giudice si ritira in camera di consiglio per decidere, poi legge in pubblica udienza il dispositivo della sentenza (che contiene le decisioni circa la condanna o l’assoluzione dell’imputato). La sentenza viene sempre corredata dei motivi della decisione, che in qualche caso possono essere redatti e letti assieme al dispositivo, in altri casi vengono redatti successivamente, entro i termini stabiliti dalla legge.